Auguri a Remo Venturi, eroe delle moto degli Anni ’50 che si inchinò solo a Surtees

Compie 94 anni il pilota protagonista di una carriera di alto livello con MV Agusta, Bianchi e Gilera. Guidava come un metronomo, vinse 5 titoli italiani e fu due volte vice iridato in 500 alle spalle dell’inglese

Massimo Falcioni

Compie oggi 94 anni Remo Venturi, uno dei più grandi e significativi piloti del motociclismo dei “Giorni del coraggio”, campione “senza corona”, vice iridato 500 su MV Agusta nel 1959 e nel 1960 sempre alle spalle di Sua maestà John Surtees indiscusso number one alla corte di Cascina Costa sotto l’ala protettiva del conte Domenico Agusta.

Piccolo, ma gigante

 

Venturi, nato a Spoleto il 21 aprile 1927, stupiva tutti all’apice della sua carriera sulle grandi, grosse, potenti e scodinzolanti 500 ufficiali MV Agusta, Bianchi, Gilera, non solo quando era in sella, ma anche allo start, per come potesse – lui esile e piccolo (sotto i 165 cm di statura) – spingere da fermo e mettere in moto quei bestioni quasi più alti di lui. Una volta sopra, stesosi sul serbatoio, aperta la manetta, Remo diventava un gigante – buono fuori quanto tignoso in pista – tirando staccate da brivido, pitturando le curve come un novello Giotto, con i meccanici del suo box meravigliati, cronometro alla mano, per come girasse forte, quasi in punta di piedi, come addirittura volesse chiedere scusa per essere tanto capace nel fare miracoli, ripetendosi. Già. Diceva Remo: “Non ho mai vinto un titolo mondiale e ho vinto una sola gara iridata (ad Assen, ndr) ma ho la coscienza a posto perché so di non essere mai stato secondo a nessuno, mai”. Era la realtà.

Mai secondo

 

Chi l’aveva visto correre, fin da ragazzo, dalla 125 alla 500, dalle Gran fondo della Milano-Taranto al Motogiro, sapeva che Remo Venturi, in pista, non era stato secondo a nessuno. Secondo dietro a Surtees, comunque, era come arrivare dietro a Nuvolari nell’automobilismo, dietro a Coppi o a Merckx nel ciclismo. Comunque, Venturi non aveva la vocazione del “secondo”. Tagliare il traguardo primo assoluto della bagnatissima rischiosissima Milano-Taranto del 1954 a 96 km/h di media dopo 1289 chilometri (in parte di notte e fra due ali di folla) sulla piccola Mondial 175 e ripetersi nel 1957 con un’altra vittoria assoluta (2058 Km) su una MV 175 a 105 orari di media dopo essersi anche perduto sotto il diluvio, sono luminosissime medaglie sul petto paragonabili a quelle di un titolo di campione del mondo. Di fronte a Remo, giù il cappello! Per quel che aveva già fatto prima nelle gare Granfondo e per quello che farà dopo, nei Motomondiale e nelle corse internazionali in Italia e altrove. “Alla MV – aggiunge Remo – la moto era quella che voleva Surtees e io dovevo prendere quella che lui scartava. Intendiamoci, un signor bolide, ma un vestito fuori misura per me, in ogni senso: per darmi un serbatoio come avevo chiesto io, adatto a me, ci sono voluti due anni di attesa. La mia moto era sempre troppo alta di sella, troppo bassa di manubrio, con le pedane troppo in avanti. Insomma ero io a dovermi adattare alla posizione di guida, non la moto che serviva a me. Solamente alla Bianchi, poi, mi diedero quel gioiello di bicilindrico davvero su misura per me, in ogni senso. Ma era tardi, la Bianchi stava oramai per chiudere bottega e dire addio alle corse”.

Dai pattini alle moto

 

Sin da ragazzo Venturi aveva lo sport nel sangue, passando dal pattinaggio, al ciclismo e al motociclismo (con una Dkw 125 tenuta insieme col fil di ferro, poi con una Morini 125 di terza mano) agli inizi degli anni ’50. Erano periodi grami, piste non asfaltate, con i piloti come Remo che sgobbavano in officina firmando cambiali per mezzi non competitivi, raggiungevano i circuiti in treno, con la moto come bagaglio al seguito, con pagnotta salame e formaggio e un fiasco di vino per gli amici. La passione, la stoffa, la capacità tecnica permisero al pilota umbro di aggiudicarsi già nel 1953, con la Mondial 125 ufficiale, il suo primo titolo di Campione d’Italia. Nel 1955 Venturi viene chiamato alla MV Agusta, dove firma un contratto vero e intasca finalmente un po’ soldi, però trova già accasati a Cascina Costa ben altri 11 piloti di primissimo livello. Comunque, quattro anni da pilota ufficiale con le MV Agusta 4 500, una vittoria, bei piazzamenti, mai una caduta, una sola rottura del motore. Venturi veniva dalla gavetta, squattrinato e desideroso di emergere ma … senza esagerare. Nel senso che da coscienzioso uomo di squadra privilegiava l’onore della Marca, rispettando quasi militarmente gli ordini impartiti. Alla MV c’erano i migliori piloti dell’epoca e bastava uno sguardo del Conte Domenico Agusta per chiudere ogni diatriba interna fra i vari galletti. Remo non si accontentò, ma certamente non uscì mai fuori dalle righe e dal ruolo assegnatogli dalla squadra, perdendo però anche occasioni d’oro. Trionfò nel tricolore del ’62, abbandonando la MV a fine stagione (a Cascina Costa era in arrivo Silvio Grassetti) per la Bianchi bicilindrica, moto che, proprio con lo spoletino, diverrà competitiva nelle 350 e 500. Era finalmente il bolide su misura per Remo, ma con la Casa milanese in stato pre fallimentare. Belle corse, vittorie in Italia, ma non c’erano i mezzi per il mondiale, davvero a portata di mano. Poi, nel 1966, il canto del cigno con la Gilera ufficiale 500 4 cl, carica di tanta gloria ma di troppi anni. Una vittoria a Riccione, la presa d’atto a Monza del gap con le moto avversarie, il bel finale autunnale di Vallelunga. Infine, nel 1969, l’addio alle piste dopo essere diventato recordman mondiale a Monza con la Guzzi V7.

cavaliere delle repubblica

 

Pilota tecnico, passista dal… passo pesante, un martello: stesso tempo sul giro come una goccia d’acqua, talmente pulito nella guida da apparire … monotono, anche quando stracciava tutti, compreso il cronometro. Venturi è stato pilota vincente in tutte le cilindrate con Marche prestigiose (Mondial, MV Agusta, Bianchi, Gilera, Benelli), in tempi quando alle corse si andava non sapendo se si sarebbe tornati a casa interi. Non emulava nessuno, Remo, ma considerava giganti Gary Hocking e John Surtees, ammirava Provini e Masetti, era cresciuto da ragazzo nel mito di Omobono Tenni e poi di Bruno Ruffo. Due volte vicecampione del mondo nella 500, come detto, 23 podi mondiali, premio Caltex 1962, 5 titoli italiani (di cui 4 nella 500), dal 1961 Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi a firma del presidente Giovanni Gronchi. Un campione in pista, Remo, un signore fuori, amico di tutti, poche parole e a bassa voce. Forse anche troppo a bassa voce.

Fonte: https://www.gazzetta.it

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