
Il 12 luglio 1969, nelle prove del GP Germania, se ne andava Bill Ivy, campione del mondo 1967 in 125: folle in pista e fuori, aveva speso fiumi di soldi tra donne, risse e bevute. Fino a quell’incidente che lo portò via a soli 27 anni
Cinquantadue anni fa, il 12 luglio 1969, perdeva la vita a soli 27 anni dopo un incidente in prova al Gran Premio della Germania Est sul circuito stradale del Sachsenring, l’iridato inglese William David Ivy, Bill Ivy, little Bill, il corridore fantino. I suoi genitori erano riusciti a scamparla durante i bombardamenti tedeschi del 1940 e lui stesso diceva di ricordarsi quando ad appena 2 anni, nel 1944, veniva nascosto nei rifugi della città natale di Maidstone, cittadina della contea del Kent, terrorizzati dalle V1 e dalle V2 naziste che a 80.000 metri d’altezza puntavano su Londra. Passata la tragedia bellica, a metà anni ’50, per un ragazzo come Bill, le prospettive erano poche: o imbarcarsi a Dover come mozzo, o spaccarsi la schiena nelle campagne come bracciante, o vagare da una bettola all’altra cercando, oltre a una birra gratis, qualcuno con cui azzuffarsi.
ivy dal ring alla pista
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È così che il piccolo Bill trasforma la sua indole di menar le mani con l’arte nobile della boxe, prima in qualche torneo studentesco, poi girando ogni sabato notte nei paesi limitrofi dove si trovava sempre gente disposta a scommettere su chi aveva l’ardire di salire sul ring in match che finivano sempre per k.o., con il viso insanguinato. I pugni, si sa, si danno e si prendono e Bill capisce che nella vita è meglio fare altro accettando di seguire in cambio di un pasto e una bottiglia di whisky un amico impegnato nelle diffuse corse locali di grass-track disputate su ovali erbosi. Il ragazzo di Maidstone s’appassiona passando in fretta da spettatore a corridore con una Francis-Barnett motorizzata da un Villers 200 cc, con la quale domina nei dintorni. Viene poi assunto come apprendista nella catena di montaggio della Associated Motor Cycles di Woolwich lavorando sulle AJS e Matchless ma, insoddisfatto, subito dopo accetta il lavoro da meccanico in una concessionaria di moto locale dove il titolare, visto il ragazzo girare forte con le moto dei clienti, lo spinge a entrare in pista con una Itom 50 bassotta, su misura per Bill.
le prime corse di ivy
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È così che nel 1959, non ancora diciassettenne, Ivy inizia la sua carriera di centauro con una corsa a Brands Hatch finendo terzo con il record sul giro e poi portando a casa, con gli altri successi nella stagione, i primi soldi veri da corridore. Nel 1960 un grave incidente — il primo di una lunga serie — in allenamento su strada (fratture multiple al bacino e alle gambe) lo tiene bloccato a letto per più di tre mesi rientrando in pista solo nel 1961 con il primo posto in 500 a Brands Hatch, su una Matchless tenuta insieme col fil di ferro e facendosi notare nella 250 del campionato inglese, dove fa miracoli con una Gilera 175 maggiorata. Per Bill è l’inizio di un’altalena agonistica con moto di ogni marca e cilindrata: fra alti e bassi, fra podi e lettini d’ospedale.
la prima nel motomondiale
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Nel 1962 debutta nel Motomondiale al Tourist Trophy con una Honda 50, finendo 25° dopo tre cadute, 7° l’anno dopo. Frank Sheene, papà di Barry, lo ingaggia nel suo team per la corsa internazionale di Madrid dove però Ivy si schianta contro una pianta procurandosi ancora pesanti fratture. Ma il piccolo Bill ha la testa dura e non molla: nel 1964 è campione britannico della 125, ripetendosi l’anno dopo nella 500 su una rinata Matchless G50. È Phil Read, il suo futuro “nemico”, che segnala Bill alla Yamaha perché “Non ho mai visto prima uno svitato così”. La Casa dei tre diapason ingaggia subito Ivy per il TT affidandogli le sue bicilindriche 125 (7° classificato al debutto) e 250 (perde il secondo posto alle spalle del pluri-iridato Jim Redman per una brutta caduta nel finale di gara causata dall’olio presente sull’asfalto). In Yamaha definiscono Ivy un corridore “fuori di testa” ma “utile alla causa” per domare le sibilanti e cattive pluricilindriche bianco-rosse, confermandolo a suon di dollari, assieme a Read, nel mondiale 125 e 250 del 1967.
ivy il campione
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Per Ivy, cui tanti soldi danno alla testa spendendo e spandendo in belle auto, belle donne, bella vita e brutte sbandate nelle infinite notti di bagordi, è la consacrazione: campione del mondo 125 (8 vittorie su 12 gare) e terzo nella 250 (2 vittorie). Alla fine della sua carriera lampo, dal 1962 al 1969, Ivy dominerà il mondiale 125 del 1967 finendo secondo nel 1966 e 1968 (sempre nella ottavo di litro) e ancora secondo nella 250 del 1968 e terzo nella 250 del 1967, disputerà 46 gare iridate vincendone 21, con 42 podi e 23 giri veloci. La svolta nel 1968. Dopo il forfait della Honda, Yamaha ha campo libero e per il 1968 decide di dividere i mondiali facili delle due classi fra Read e Ivy. Ma, si sa, non sempre quel che si stabilisce a tavolino poi si avvera. Infatti Read, dopo aver intascato il titolo della 125 senza interferenze del compagno di squadra, fa sua anche la corona della 250 ignorando di fatto gli ordini di scuderia. A fine stagione, nella incandescente quarto di litro i due assi britannici compagni di squadra se le danno di santa ragione in pista e fuori: finiscono a pari punti con la Fim che dopo mille polemiche concede la corona iridata della duemmezzo a Read, grazie alla “trovata” della somma dei tempi dei GP in cui entrambi i piloti Yamaha erano arrivati in fondo. Non finisce, fra i due, a tarallucci e vino.
le liti con read
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La Yamaha licenzia in tronco Read mentre Ivy, deluso, annuncia l’addio dal motociclismo passando alle quattro ruote in Formula 2 dove nel 1969 si metterà in luce prima di tornare sui suoi passi accettando l’offerta della Casa cecoslovacca Jawa per disputare il mondiale 1969 con la nuova 350 4 cilindri due tempi a disco rotante: moto di straordinaria potenza e velocità ma anche assai fragile di meccanica e soprattutto pericolosa causa i facili grippaggi del propulsore. Una bella moto alta e massiccia la nuova Typ 673 est europea, sulla quale il piccolo Bill riusciva a stento a salire, con gran difficoltà nel metterla in moto nelle partenze a spinta con il motore spento dell’epoca. Comunque, il nuovo binomio Ivy-Jawa si dimostra subito competitivo, con due secondi posti nella 350 in Germania Ovest e in Olanda alle spalle di Agostini sulla compatta e sicura MV 3 cilindri 4 tempi. La nuova Jawa va forte ma è soprattutto il nuovo pilota a farla volare, rischiando oltre ogni limite. D’altronde per Ivy la propensione al rischio oltre misura veniva da lontano, addirittura da… prima di nascere. Ricordava soddisfatto e con orgoglio Bill: “Sono nato sull’ambulanza che stava trasportando mia madre all’ospedale per il parto. L’autista correva come un pazzo. È stata quella corsa d’ambulanza a farmi nascere, inconsciamente, l’amore per la velocità, l’attrazione per il rischio come scelta di vita”. Il destino non fa sconti.
la morte di little bill
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Il 13 luglio 1969 c’è il GP della Germania Est al Sachsenring, circuito teatro del settimo round iridato stagionale, fatto apposta per cercare la gloria ma anche farsi male, davanti a 250 mila persone in un mare di passione e fiumi di alcool. Adesso Ivy è l’anti Agostini. L’obiettivo è battere il fenomeno italiano e salire sul tetto del mondo. E il piccolo Bill, diavoletto cappellone scavezzacollo, talentuosissimo fantino sempre in cerca di non si sa chi e che cosa, taglia il suo traguardo finale. Lanciato a razzo per rubare ad Agostini la pole, fra scrosci d’acqua e folate di vento, Ivy esce a manetta, svirgolando fra le case di Hohenstein-Ernsthal. Alla esse che immette sulla discesa si deve per forza chiudere il gas e Ivy lo chiude. Un cuscinetto del motore cede, l’albero motore si blocca, il motore si pianta. La ruota dietro s’inchioda. Il fantino è scaraventato in aria e poi, perduto il casco slacciatosi nella scivolata finale, sbatte contro una colonna di cemento senza un filo di protezione. Prontamente soccorso e portato all’ospedale di Lichtenstein (vicino Stoccarda), Bill Ivy muore poco dopo senza aver ripreso conoscenza. Il “centauro capellone” se ne andava così, con il suo sorriso mesto, veloce come veloce era stata la sua vita: ventisette anni rincorrendo in pista e fuori gioie e dolori, degno esponente di quei corridori scavezzacollo, per molti simbolo di una generazione inquieta e tormentata da un insopprimibile anelito di sfida e di conquista.
quei fiori in griglia per ivy
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Il giorno dopo, sotto un cielo di piombo che piange, i corridori della 350 prendono il via ugualmente. Era sempre stato così prima di ogni incidente mortale e sarà ancora così per tanti anni nel motociclismo de “I giorni del coraggio”. Del povero Bill resta il sorriso mesto, quel suo modo di correre in pista, sempre con la baionetta in canna, cercando la sua trincea, oltre la bandiera a scacchi. In quel 12 luglio assassino, Bill, finalmente, sarà stato in pace con se stesso.
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Fonte: https://www.gazzetta.it