Valencia, ultima presenza MotoGP per la Suzuki. Un addio o solo un arrivederci?

Il GP di domenica sarà l’apparizione conclusiva della casa di Hamamatsu dopo l’annuncio dell’uscita dalla classe regina. Il titolo di Mir di due stagioni addietro il recente punto più alto di un nome che è storia della moto e che si spera di recuperare in fretta

Massimo Falcioni

L’ultimo round MotoGP 2022 del prossimo 6 novembre a Valencia, decisivo per l’assegnazione del titolo iridato fra Francesco Bagnaia e Fabio Quartararo, segnerà anche il ritiro della Suzuki dalle corse. È l’epilogo dell’annuncio dato con uno scarno comunicato dalla casa di Hamamatsu a Jerez sei mesi fa, lunedì 2 maggio, dopo che tre settimane prima, il 20 aprile, c’era stata la firma dell’accordo con Dorna che confermava la presenza in MotoGP fino al 2026. Dunque, Suzuki getta la spugna dopo aver vinto con Joan Mir il titolo della top class appena due stagioni fa. Una perdita pesante per il Motomondiale. Non è una pausa tecnica come quella dei motori 2 tempi tra il 1985-88 e tra fine 2011 e 2015 nel passaggio dal V4 al 4 in linea ma una scelta dovuta alla crisi internazionale, non solo economica, che va ben oltre il motociclismo. C’è, comunque, una difficoltà specifica del marchio Suzuki sul mercato moto, come dimostra l’assenza di suoi modelli dalla top 30. Evidentemente pesano scelte aziendali che non hanno dato i risultati sperati inducendo i vertici Suzuki alla svolta, compresa anche il forfait dalla MotoGP. Non resta che prenderne atto e rendere l’onore delle armi a una Casa che lascia una forte impronta nel motociclismo agonistico mondiale. 

sul tetto della top class

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C’è da sperare che, come già accaduto in passato, prima o poi la Casa fondata nel 1909 dall’imprenditore tessile Michio Suzuki, conosciuta nel mondo per le moto, le auto e i motori marini, torni sui propri passi. Proprio a Valencia, l’8 novembre 2020, la prima vittoria in MotoGP di Joan Mir su Suzuki bruciando in volata il compagno di squadra Alex Rins aveva il sapore del trionfo per la Casa giapponese perché ipotecava, a due round dalla fine del campionato, il titolo mondiale della classe regina. La Suzuki saliva così per la seconda volta sul tetto della Top Class. Una rinascita costruita passo dopo passo cinque anni prima, quando il 13 giugno 2015 la rientrante Suzuki conquistava al Montmelò la pole position MotoGP con Aleix Espargarò e il secondo miglior tempo con Maverick Viñales. Un exploit, data l’assenza da oltre tre anni dal Motomondiale, e perché dopo solo sette presenze in MotoGP centrava le prime due caselle della prima fila. Il magnifico direttore d’orchestra Davide Brivio partiva col piede giusto, vedendo così i primi risultati concreti di un rodaggio delle nuove moto e del nuovo team, né breve né facile. Dagli altari agli addii, in soli due anni.

prova d’orgoglio

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Il 6 novembre Rins e Mir sono attesi a una prova d’orgoglio, prima di passare alla Honda, cercando addirittura il bis di quell’indimenticabile e storico 8 novembre 2020. Un circuito, quello spagnolo del Ricardo Tormo, storicamente a fasi alterne per i bolidi della Casa di Hamamatsu. Nella prima edizione 1999 del GP della Comunità Valenciana nella classe 500 Kenny Roberts Jr fa secondo con la splendida RGV500 bissando il risultato nel 2000 e conquistando l’ottavo dei 9 podi della stagione e il titolo mondiale della massima cilindrata. Due Suzuki sul podio anche nel 2001 con la vittoria sul bagnato di Sete Gibernau, l’unica della Suzuki a Valencia. Con l’avvento della MotoGP la Suzuki GSV-R fatica sempre a Valencia, con un solo podio di John Hopkins nel 2007, terzo dietro al vincitore Pedrosa e a Stoner. Nel novembre 2011 Suzuki interrompe il progetto MotoGP rientrando nel 2015 con la inedita GSX-RR prima affidate a Espargaro e a Vinales e poi, dal 2017 a Iannone e Rins. Il resto è cronaca illuminata dal GP d’Europa 2020 con la magnifica doppietta di Mir e Rins, con Mir campione del mondo: il bis vent’anni dopo l’iride di Kenny Roberts jr. 

gli addii del passato

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Nelle ultime tre stagioni MotoGP la Suzuki ha dimostrato un elevato livello di competitività, dopo aver investito molto e aver sviluppato un nuovo motore, più potente, ben sfruttato da entrambi i suoi piloti. Allora perché il ritiro? Evidentemente la decisione dell’addio va oltre l’aspetto racing, investendo la strategia generale del Gruppo nipponico, caso mai dimostrando che, quanto meno per Suzuki, la MotoGP non ha in questa fase valore strategico. E adesso? Altre volte in passato le Case giapponesi Honda, Yamaha, Kawasaki, la stessa Suzuki, hanno abbandonato il motomondiale pro tempore, per poi tornare più decisi e più forti di prima. Una storia che si ripete e che ha riguardato tutte le Case, comprese quelle europee. A fine 1957 anche le principali Case italiane dominatrici nelle corse – Guzzi, Gilera, Mondial, MV Agusta – abbandonarono ufficialmente le competizioni. Non era solo una questione di costi, sempre più insostenibili. Queste Case non credevano più nella motocicletta come mezzo di trasporto di massa, sostituita dall’auto utilitaria. Non credevano più, conseguentemente, nell’utilità delle competizioni. Le corse diventavano non più un valore aggiunto e una risorsa, bensì un lusso non più sostenibile anche per grandi case: le vittorie non avevano più una ricaduta diretta sulle vendite, non erano più il fiore all’occhiello ma un cappio al collo. Di fatto mancò la capacità di adeguare il prodotto motocicletta alle nuove esigenze dei mercati internazionali e al rapporto con la travolgente automobile, e di non valutare appieno il “valore” delle corse nel nuovo contesto, non solo quale banco di prova per la produzione di serie, ma insostituibile strumento per la promozione e per l’identità del Marchio aziendale. Quel patto di astensione del ’57 fu una sconfitta che l’industria italiana pagò cara. 

una storia importante

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Adesso, in un contesto assai diverso, la storia potrebbe ripetersi. Oggi per Suzuki. Domani chissà. Anche in questa occasione può valere il detto che “Gli assenti hanno sempre torto”. Cosa è stata la Suzuki, fin ora, nel motociclismo? Considerata, erroneamente, se non la “parente povera” quanto meno la “sorella minore” delle altre Case del Sol Levante (Honda e Yamaha), la Suzuki viene da lontano. Fondata nel 1909, la Suzuki nei primi Anni Sessanta, seguendo le orme della Honda e facendo poi da apripista per Yamaha e Kawasaki, tenta la via del motomondiale conquistando nel 1962 la sua prima vittoria al TT inglese nella classe 50 con il tedesco Ernst Degner. Degner, pilota-ingegnere della Casa tedesco-orientale MZ, fuggiva in Giappone portandosi dietro i segreti, i disegni e i … motori della innovativa e potente 2 tempi monocilindrica costruita oltrecortina. Una vittoria storica, quella del TT, battendo gli squadroni di Honda e Kreidler e le moto spagnole e italiane. La prima Suzuki 50 (monocilindrica) e la prima 125 (bicilindrica) due tempi a disco rotante scese in pista nel 1962 erano il replay delle MZ (Motorradwerk Zschopau) del “mitico” Walter Kaaden, l’ingegnere che nella Seconda Guerra Mondiale aveva fra l’altro progettato componenti importanti per i razzi tedeschi (poi V1 e V2) con un propulsore jet in grado di utilizzare le onde di risonanza prodotte dai gas di scarico. Nell’anno del debutto e della prima stagione iridata dei microbolidi Degner fece suo il titolo iridato delle 50 cc aprendo la strada al neozelandese Hugh Anderson (campione del mondo 1963 e 1964 nelle 50 e 1963 e 1965 nelle 125), il pilota/ponte della Suzuki, l’erede del geniale, fortissimo e discutibilissimo Ernst Degner e il “padre putativo” di quello che diventerà uno dei più forti e amati campioni di tutti i tempi: il mitico Barry Sheene.

titoli italiani

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Passeranno dieci anni e poi altri cinque con l’arrivo in Suzuki dei due mostri sacri Barry Sheene (mondiale 500 1976 e 1977) con la RG e Kevin Schwantz (mondiale 1993) con la RSV, perché la Casa di Hamamatsu possa chiudere il cerchio dei sui trionfi. Suzuki aveva vinto il mondiale Marche delle 500, ininterrottamente dal 1976 al 1982, conquistando alla grande il titolo piloti anche con gli italiani Marco Lucchinelli e Franco Uncini nel 1981 e 1982. Quello del 2000, con Kenny Roberts junior, fu l’ultimo titolo Suzuki nella classe regina. Poi 20 anni dopo, il bis in MotoGP con Mir. Suzuki rompeva così il dominio di Honda e Yamaha (con l’intermezzo dell’acuto iridato della Ducati nel 2007 con Casey Stoner) dimostrando di saper passare dalle parole ai fatti. Adesso, non resta che sperare che questo della Suzuki non sia un addio definitivo alle corse ma solo un arrivederci presto. Goodbye, Suzuki!

Fonte: https://www.gazzetta.it

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