Raoul Casadei, la “Romagna mia” che univa il popolo delle moto e non solo

Il cantore del liscio sconfitto dal coronavirus ha segnato un’epoca con le sue canzoni. Il brano più celebre fu capace di unire ed elevare a festa di popolo ciò che precedeva le gare in pista

Massimo Falcioni

Anche il mondo dei motori non può non ricordare il musicista compositore “Re del liscio” Raoul Casadei, stroncato a 83 anni dal Covid-19. Nato il 15 agosto 1937 a Gatteo Mare, nel cuore del litorale romagnolo, sin dal primo dopoguerra, a dieci anni poco più, Raoul saliva sul sellino posteriore del Guzzi Falcone di suo zio Aurelio Casadei, detto Secondo (lo Strauss della Romagna) – qua il soprannome sostituisce il nome – classe 1906, violinista e compositore e fondatore nel 1928 dell’Orchestra Casadei, già assai nota oltre i confini regionali. Era il ragazzino e poi giovanotto Raoul che, tentando di rimanere in equilibro sulla motocicletta rossa dall’inimitabile “tum-tum-tum” con l’aquila sul serbatoio, a tracolla portava gli strumenti musicali dello zio musicista-centauro, con la fisarmonica in mezzo ai due, in cerca di osterie riassestate alla bell’e meglio in fumose sale da ballo dove la gente li attendeva per sognare.

Musica e motori

—  

Così, ogni sabato sera, zio e nipote passavano di balera in balera dando il via all’epopea del “Liscio”. Ufficialmente Raoul entra a far parte dell’orchestra a 23 anni, nel 1960, prendendone le redini a fine 1971 dopo la morte di suo zio. La Romagna, da sempre, è la terra de “Mutor”, che da quelle parti sta per motocicletta. Romagnolo purosangue e col pallino del suono, della musica, del ballo inteso come divertimento, voglia di vivere e partecipazione, Raoul non poteva non essere attratto dalla motocicletta e dalle corse, intese anche come armonia, show e sfida.

Romagna mia

—  

Il 25 aprile del 1956, con un gruppo di amici, Raoul parte all’alba dalla “casetta mia” di Gatteo su una Topolino strapiena puntando su Imola, dove è in programma la Coppa d’Oro Shell con il debutto dell’attesissima Guzzi 500 8 cilindri. Sulla “Collina del batticuore” strapiena di aficionados in attesa delle gare si fraternizza, si litiga pro o contro quel pilota e quella marca, si tirano su tribunette barcollanti, si alzano striscioni e vessilli, si beve e si mangia, si canta. Qualcuno intona le note di “Romagna mia”, la canzone scritta due anni prima da Secondo Casadei (ancora oggi uno dei cinque brani italiani più eseguiti nel mondo!), e la Rivazza esplode perché tutti cantano quel motivo, qui inteso come Inno nazionale. Raoul viene riconosciuto da chi sere prima l’aveva visto esibirsi nel faentino e deve associarsi ai vari gruppi di tifosi, continuando a cantare insieme e a partecipare ai giri di valzer e ai giri di… Sangiovese.

Nel cuore dei romagnoli

—  

Il giovane musicista compositore dirà in seguito di avere sempre portato nel cuore quella giornata imolese anche per il sound della Guzzi 8 cilindri che lui stesso cercherà di riprodurre con i suoi strumenti musicali, a mo’ di esercizio. “Romagna mia” – il cui primo nome era “Casetta mia” – entra nel cuore degli italiani ed è cantata da tutti perché da metà degli anni ’50 accompagna l’Italia del boom. In particolare, è l’inno per i romagnoli che si danno da fare in giro per il mondo ed è il vocabolario di base per i turisti che d’estate cominciano ad invadere la riviera. La Romagna, le corse, la musica, il ballo, il mare, il turismo. I contadini che dalla povertà dell’anteguerra fuggono dai campi diventando operai in fabbrica e anche baristi, cameriere, cuochi, ristoratori, albergatori. L’Italia cambia passo e volto e la Romagna è fra le locomotive che tirano la nazione. E quella canzone ne rappresenta la sintesi fra rimpianti, illusioni e voglia di fare, voglia di vivere: non va spiegata ma semplicemente ascoltata e cantata.

Innovatore

—  

“Romagna mia è la vera canzone popolare, anche perché essendo un valzer rappresenta il liscio, che è il ballo italiano per eccellenza – spiegava Raoul Casadei -, l’ha cantata Papa Giovanni Paolo II, qualcuno l’ha proposta come inno nazionale e rappresenta la regione italiana più allegra e solare, l’Emilia Romagna’’. Raoul Casadei è stato un innovatore nella musica saldando qualità e tradizione ma lo è anche nell’organizzazione, nel marketing, nella comunicazione. Ben prima dei “van” usati dai Team nel motociclismo show-business l’Orchestra Casadei correva per le strade di mezzo mondo su un pullman dedicato (“La casetta mia” viaggiante – diceva Raoul) girando anche a bordo di una “nave” montata su un telaio di un autotreno per le strade del Giro d’Italia del 1976 dove l’orchestra Casadei, galleggiando tra la folla in attesa dei corridori, proponeva balli e musiche dal vivo.

Canzone simbolo

—  

Una festa di popolo animata da una grande orchestra popolare. “Romagna mia” ha sempre avuto una melodia e un’energia di straordinario impatto fra gente di ogni età e condizione sociale perché crea e comunica emozioni e parla al cuore di ognuno, senza distinzioni. Una canzone simbolo anche di turismo, cioè di far conoscere e farsi conoscere, anche straordinario volano di business. Non è quello che è stato (e, su altri piani e proporzioni resta anche oggi) il motociclismo made in Romagna (ed Emilia) marcato nell’immaginario collettivo come Mototemporada? “Romagna mia” e Mototemporada si fondono travalicando la musica e lo sport, diventando cultura. Una storia che viene da lontano e che resta nella storia e nel cuore di tanti.

Imola

—  

Il 25 aprile 1953 si inaugura con il Gran Premio Coni il circuito di Imola che dal 1954 diventa Coppa d’Oro Shell, una rivoluzione voluta da Checco Costa: arrivano i grandi campioni stranieri attirati da ingaggi dorati e arrivano i grandi sponsor supportati dal tam-tam mediatico. Il round del circuito del Santerno vale di per sé un titolo mondiale dando il via a quella Mototemporada tricolore che dal 1960 diventerà anteprima del Mondiale e chiusura della stagione internazionale. La Mototemporada emiliano-romagnola (allargata geograficamente) era un tour pre-mondiale e, oltre ai piloti big del mondiale (stranieri e italiani), contava sulla forte presenza di case made in Italy quali MV Agusta, Benelli, Morini, Bianchi, Aermacchi, Mondial, Ducati, Villa, MotoBi, Paton, Linto, Parilla, Rumi (prima anche Moto Guzzi e Gilera e poi Morbidelli, Minarelli, Mba, Sanvenero, Aprilia): una presenza che garantiva qualità tecnico-agonistica, show, presenza e tifo … da stadio.

Inno di tutti

—  

Il valore di quel tour rombante andava oltre l’aspetto tecnico e agonistico, diventando l’espressione di un’epopea di corse ineguagliabile e affascinante quanto indimenticabile ma condannata a rimanere nell’albo dei ricordi che non possono più tornare. Ogni volta si consumava un rito: appassionati di ogni dove e di ogni età – famiglie intere – con il vestito della festa, piadine, vino, salsicce e fritture in quantità invadevano i viali cittadini, gli spalti delle tribune improvvisate. Sin dalla notte si tiravano su postazioni, si alzavano bandiere e stendardi con i nomi dei propri beniamini e delle marche delle grandi case presenti con i loro bolidi. Fra rombi acuti nei box di tavole e di tubi innocenti e adori delle grigliate, fra applausi e sfottò, era festa di popolo, ancor prima di essere festa in pista. Era questo, con il pathos per le tante cadute, il motociclismo dei “giorni del coraggio”. La Mototemporada tricolore è stata la bella epoque di un motociclismo vissuto come una fede, fatta di grandi rischi, rivalità, passioni, capace di segnare un’epoca oltre i propri confini, oltre lo sport. “Romagna mia” apriva e chiudeva il rombo dei motori nei vari circuiti della Mototemporada. La musica arrivava dagli altoparlanti ma ognuno, anche il più stonato e figlio di altre contrade, la rilanciava con la propria voce. Raoul Casadei, l’Orchestra Casadei, anche per questo immortale.

Fonte: https://www.gazzetta.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *