Il salto di classe: Agostini come Rossi, Hailwood alla Marquez?

Perché i dominatori nelle cilindrate più piccole, come Gresini, non sono passati a cubature maggiori. E perché Valentino e Marc assomigliano ad Ago e Mike the Bike

Massimo Falcioni

La recente scomparsa di Fausto Gresini ha riproposto l’interrogativo sul perché alcuni piloti, anche di gran qualità, si siano limitati a gareggiare nelle piccole cilindrate non salendo di categoria. Fausto è stato uno di questi, grande protagonista della 125, non ha mai corso né in 250 né tanto meno in 500. Nel motociclismo si è impropriamente etichettata la 125 (in precedenza anche la 50 cc e la 80 cc) quale classe “minore”, con la 250 (la 350 fino al 1982) e la 500 definite classi “superiori”.

le differenze tra automobilismo e motociclismo

—  

Non c’è dubbio che, almeno dal 1949 con gli inizi del Motomondiale, la 500 è stata considerata la “classe regina”, tale e quale oggi la MotoGP. Il motivo? In 500 prima e poi in MotoGP c’è stata e c’è una doppia competizione: fra le grandi case con le moto più potenti e veloci e tecnologicamente più avanzate e fra i piloti più blasonati, più noti e amati. Anche se in 125 e in 250 si sono avute epoche (Anni 50-60 e 70) con piloti, moto, corse super per interesse tecnico-agonistico – idem oggi per Moto3 e Moto2 almeno sul piano agonistico – mentre nella 500 e in seguito anche nella MotoGP non sempre ci sono state le gare e i campionati migliori. Tuttavia, la “classe regina” ha sempre rivestito e riveste il ruolo clou, di emblema del motociclismo. A differenza dell’automobilismo che anche nei suoi anni d’oro faceva correre separatamente la Formula 1 dalle altre categorie (F2, F3, prototipi, sport ecc.), nel motociclismo il mondiale è sempre stato diviso per cilindrate con le gare di tutte le classi nella stessa giornata: ieri la 50, 80, 125, 250, 350, 500 e sidecar, oggi la Moto3, Moto2, MotoGP. Sugli spalti dei circuiti e davanti alla tv gli appassionati di motociclismo vivono con uguale interesse e partecipazione le gare riservate alle “cilindrate minori” ma tutti attendono lo start della massima cilindrata perché quello è il clou della giornata: è, appunto, la “classe regina”.

team e gavetta

—  

Se è sempre stato così ieri e se è così ancora di più oggi in un Motomondiale incentrato sulla MotoGP (Moto3 e Moto2 sono di “contorno” pur se fondamentali per il vivaio piloti e la loro scalata verso la classe principale) che attira le grandi case, i grandi campioni, i grandi sponsor e che quindi crea visibilità, produce e distribuisce la parte più consistente del business, perché ci sono stati e ci sono piloti anche di gran livello che non provano neppure a fare il salto di categoria passando tutta la loro carriera nelle cilindrate minori del mondiale o nei campionati extra Motomondiale, quali ad esempio la Suberbike? E perché piloti dominatori nelle 50 e 125 quando hanno tentato la scalata in 250 o in 350 e 500 hanno capito che quello non era il loro terreno di caccia e sono stati costretti a tornare sui propri passi? La risposta non può che essere articolata e, comunque, gli esempi non sono privi di eccezioni che confermano la regola: il fuoriclasse, il vero “number one” vince comunque e dovunque. La scelta della cilindrata è dettata dall’iter del corridore che deve necessariamente fare esperienza. Ieri, con le moto da strada attorno ai 10 Cv, un corridore juniores non poteva certo debuttare in 500 con una plurifrazionata da 80-90 Cv, 280 km/h e 190 kg di peso come oggi non può farlo con una MotoGP da 280 Cv, 350 km/h e 160 kg. Serviva e serve, oltre la possibilità di moto e team giusti, la gavetta tecnico-agonistica.

la scuola della strada

—  

Nel dopoguerra, oltre ai circuiti cittadini, fra marciapiedi, spigoli, strade a schiena d’asino e asfalti scivolosi fra gli alberi e senza spazi di fuga, alla guisa del Tourist Trophy inglese, del Bol Dor francese, della Cannonball americana, sono state le due affascinanti e massacranti “gran fondo” Milano-Taranto (da 1400 km) e Motogiro (per i 250 centauri una tirata di 1300 km sulle strade di tutti i giorni lungo lo Stivale, in parte di notte, fra due ali di folla) ad attirare i giovani centauri anche alle prime armi perché per tentare l’avventura bastava una licenza rimediata con una iscrizione a un Moto club e una moto di serie con fanale e targa piegata e motore truccato nell’officina sotto casa (un 125 o un 175 Benelli, Rumi, Ducati, Bianchi, MV Agusta, Mondial, Parilla, Morini, o anche una … Lambretta). Da quella fucina sono nati i futuri campioni del mondiale per molti dei quali l’unico sbocco era la classe 125: meno impegnativa e più abbordabile per la disponibilità di moto derivate dalla serie, meno potenti e veloci, più semplici nella messa a punto, soprattutto più facili da trovare e meno costose. Quei corridori cominciavano tardi la loro carriera (fino a 21 anni non si aveva la licenza senza l’autorizzazione del genitore), non come oggi che si parte da baby con le minimoto e si procede con qualche sponsor locale senza però la gavetta “tecnica” affidando ad altri la messa a punto, e non solo. Nessun corridore opta per le piccole cilindrate perché si rischia di meno che sulle grandi: è lo stato di necessità fisica (ad esempio pesare meno di 60 kg con una altezza sotto un metro e sessanta come Nieto, Lazzarini, Bianchi, Taveri, Torras, Villa Francesco), la scarsità di mezzi economici e la disponibilità tecnica (una Bultaco o una Aletta 125 2 tempi monocilindriche o una Aermacchi 250 mono 4 tempi aste e bilancieri e poi anche una Yamaha 250 2 tempi bicilindrica si trovavano facilmente sul mercato mentre le pluricilindriche restavano un sogno) a imporre la scelta.

rischio cadute

—  

Per decenni la caduta su un circuito avveniva almeno al 50% per guasti meccanici più nelle piccole-medie cilindrate con le delicate 2 tempi (grippaggio, blocco del cambio, salto di catena ecc.) che sulle grosse (specie le solide monocilindriche 4 tempi) mentre oggi è per lo più l’errore del pilota a determinarla, anche per la bagarre in gara. Non c’è stato mai e non c’è un rapporto diretto incidenti-cilindrata, nel senso che il rischio è spalmato fra tutte le categorie. A Spa-Francorchamps, con le piccole 125 cc e con le tute dei piloti di pelle nera da novecento grammi si girava quasi a 190 km/h di media e in caso di caduta c’era poca differenza con le 500 che giravano a 210 km/h: le conseguenze erano comunque pesanti.

Le carte vincenti nelle piccole

—  

Qual era e qual è la miglior qualità di un pilota vincente delle piccole cilindrate? Il mix fra cocciutaggine e astuzia più la perizia tecnica, dando per scontato la motivazione e il talento che è un dono che però va affinato. Insomma, anche nelle piccole – oggi per la Moto3 – non basta solo dare gas per dimostrarsi un vincente. Nel vecchio Motomondiale fino al termine del secolo scorso, i migliori piloti delle piccole cilindrate erano, oltre superbi stilisti e gran calcolatori, anche tecnici di qualità e abili nella messa a punto: Ruffo, Sandford, Hollaus, Phillis, Taveri, Ubbiali, Provini, Nieto, Lazzarini, Bianchi, Gresini, Cadalora ecc.

il passaggio di classe

—  

Quanti di questi – piloti vincitori anche di titoli mondiali 125 – si sono poi ripetuti nelle cilindrate superiori? Dalla 125 alla 250 Ruffo, Ubbiali, Provini poi Cadalora e sopra, fra questi, solamente Cadalora pur se in 500 “solo” vice iridato. Marco Simoncelli, gran manico 125, 250 e MotoGP, stella spentasi nella maledetta giornata di Sepang, merita un discorso a parte. Dalla 250 alla 500 e/o MotoGP non ci sono riusciti a centrare il gran bersaglio nemmeno due assi quali Capirossi (2 mondiali 125 e 1 in 250) e Max Biaggi (4 mondiali in 250 e 2 in Sbk). Ci sono stati poi tanti piloti, specie inglesi, che hanno fatto il percorso a ritroso, dalla “mezzo litro” in giù anche perché in Gran Bretagna era più facile trovare una grossa Norton 500 che una duemmezzo o una quarto di litro. L’elenco è lungo, iniziando da Leslie Graham, il primo campione del mondo (su AJS) 500. All’opposto, Carlo Ubbiali, 9 volte campione del mondo (6 titoli in 125 e 3 in 250), specialista della ottavo di litro, prediligeva la duemmezzo perché “una via di mezzo tra la leggerezza della 125 e la potenza della 500”. Il “cinesino” aggiungeva: “Quando un pilota è un campione, vince sulla 250 come nella 500”. È un fatto, però, che l’esile pluri iridato bergamasco denominato la “volpe” per come sapeva gestirsi in corsa fin sotto la bandiera a scacchi, ai suoi tempi indiscusso re delle piccole/medie cilindrate non ha mai fatto il salto in 500. Idem il suo storico rivale e più “bollente” Tarquinio Provini, cui stavano stretti i due mondiali in 125 e 250, ma anche lui, mai su una 500. Ciò toglie lustro a questi due campionissimi?

Hailwood e Agostini

—  

Le eccezioni ci sono, ieri come oggi. Su tutti, svetta il nove volte campione del Mondo degli Anni 60 Mike Hailwood (quattro titoli nella 500 su MV, due nella 350 su Honda, tre nella 250 su Honda; 14 trionfi al TT di cui l’ultimo nel 1978 su Ducati 900 SS, 11 anni dopo aver appeso il casco al chiodo), anche terzo nel mondiale 125 del 1959 dopo due trionfi nella ottavo di litro all’Ulster e al TT dell’Isola di Man. Mike, fisicamente longilineo e con una condotta di vita non certo da francescano, resta l’esempio indiscusso di fuoriclasse capace di domare qualsiasi moto di qualsiasi marca vincendo in ogni cilindrata, persino nella classe 50, nel 1957, al debutto con una Itom monocilindrica 2 tempi, tre marce da 100 km/h! E qui non si può non “pesare” Hailwood e il suo avversario number one Agostini. L’inglese, genio e sregolatezza, ineguagliabile in ogni categoria su ogni moto, unico nel trasformare in pennello lo scalpello, un Michelangelo della manetta. L’italiano, artista raffinato e di gran talento e professionista da manuale, mai (a parte il biennio da juniores in 175) in 125 e solo 3 gare – fuori podio – nel mondiale 250, superbo interprete delle grosse cilindrate, unico nella classe 350 sulla MV Agusta 3 cilindri, paragonabile a Giotto con la sua “O”.

paragoni

—  

I paragoni sono sempre assai ardui, specie fra piloti di epoche molto diverse: ma se proprio si dovesse mettere sulla bilancia i due fuoriclasse emblemi del motociclismo dei “giorni del coraggio” con i due fuoriclasse simboli di questo motociclismo “show-business” Agostini potrebbe essere paragonato a Valentino Rossi e Hailwood a Marc Marquez. Quel Rossi dai nove mondiali, l’unico ad aver vinto il titolo in quattro classi differenti: 125, 250, 500, MotoGP. E quel Marquez, per ora a quota 8, iridato nella 125, nella Moto2, e nella MotoGP. Come volevasi dimostrare. Il resto è cronaca.

Fonte: https://www.gazzetta.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *